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CAFFÈ ED INDIGNAZIONE

25 Novembre. Giornata mondiale contra la violenza sulle donne. Si. Ancora.

Mentre sorseggio il mio caffè, migliaia di donne in Italia e nel mondo stanno subendo una violenza. E questo succede da sempre e ogni giorno continua a succedere. Come una tradizione. Come il Natale e il Capodanno. Una terribile routine che non sembra voler smettere.

Voliamo nello spazio, abbiamo creato tutto ciò che può essere pensato e immaginato ma la razza umana ancora non riesce a trattare le donne in modo diverso dal semplice strumento sessuale facilmente manipolabile e sottomesso.

Manifestazione per Claudia Caputi e contro la violenza alle donne.

Non voglio esagerare. Purtroppo i dati parlano chiaro. Solo quest’anno in Italia sono state più di 96 le donne uccise. Tre quarti di queste da un fidanzato, un marito, un ex ed il 31,5 per cento delle donne tra i 16 e 70 anni (6 milioni 788 mila) ha subìto nel corso della propria vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale. Una donna su tre. A cui si aggiungono quelle che subiscono violenze psicologiche o economiche. La pandemia globale che ci ha costretti chiusi in casa, ha solo aumentato il problema. Le chiamate al numero antiviolenza 1522 tra marzo e giugno 2020 sono state più di 15 mila, cioè il 119,6 per cento in più rispetto allo stesso periodo del 2019.

Numeri che mettono i brividi.

Viviamo in una finta democrazia dove assistere alla proclamazione della prima donna Rettore di una prestigiosa università o la prima Vicepresidente donna degli Stati Uniti d’America, dovrebbe renderci finalmente appagate e soddisfatte.

Certo. Ma noi vogliamo di più. Non zuccherini che ci aiutino a mandare giù bocconi troppo amari da sopportare. Meritiamo di più di casi sporadici. Meritiamo di più di pochi passi in avanti.

Noi meritiamo il traguardo.

Dopo secoli e secoli di sottomissione pretendiamo i giusti riconoscimenti in ogni ambito e il giusto nome alle cose.

Come l’adeguata connotazione alla parola STUPRO.

Ripetiamolo insieme: lo stupro è pura violenza. Senza se e senza ma. Non ci sono giustificazioni. E non dovrebbero mai esserci. Mai.

Nell’ultimo periodo si sente spesso parlare di Rape Culture, termine usato per descrivere la nostra cultura, dove atteggiamenti sessuali palesemente violenti contro le donne vengono giustificati, normalizzati e in alcuni casi addirittura incoraggiati come unica forma di disciplina e castigo.

Si giustifica la violenza con la gelosia, la solitudine, e con il “se l’è cercata”. Come se la violenza fosse una cosa incontrollabile e come tale accettabile. Il caso Genovese e la cronaca in generale ci ricordano come la storia si ripeta sempre, anche nel 2020. Il sesso non come piacere consensuale ma come affermazione di forza. 

“UN NO VUOL DIRE SI”.  Eh no cari. NO VUOL DIRE NO E BASTA.

Questo squilibrio nel rapporto tra uomo e donna esiste dalla notte dei tempi ma ancora oggi è attualissimo. Ad esempio fino a soli due anni fa era possibile trovare online un videogioco chiamato Rape Day che permetteva ai player di impersonificare Zombie in grado di stuprare e violentare le donne brutalmente in una città in cui tutto era concesso. Che sogno per gli uomini repressi.

Normalizzare tutto ciò è grave come commettere il reato stesso.

Allora cosa si può fare per evitare questo abominio?

PARLARE. SCRIVERE. DIALOGARE. URLARE. Farsi sentire. Perché il silenzio non cambia il mondo. Se siamo arrivate ad essere libere lo dobbiamo a grandi donne che hanno saputo lottare e unirsi per un futuro migliore. Come alle tre sorelle Patria, Minerva e María Teresa Mirabal, “le farfalle” come amavano farsi chiamare. Le tre donne che hanno lottato contro le ingiustizie e la dittatura di Rafael Leonidas Trujillo a Santo Domingo e per questo il 25 Novembre 1960 sono state torturate, violentate e uccise.

Al loro coraggio è dedicata questa giornata. Al coraggio e al sacrificio di tutte le donne che ci hanno permesso di poter avere un nostro posto nel mondo.

Patria, Minerva e María Teresa Mirabal

Ma dobbiamo continuare questa battaglia. Dobbiamo portare avanti questo testimone e consegnarlo sano e salvo alle nuove generazioni. I social in questo possono tanto. Non sono solo vetrina di superficialità ma anzi possono essere i mezzi più importanti per veicolare al maggior numero di persone e di giovani il messaggio di giustizia e uguaglianza. La nascita delle “femminist influencer” ne è un esempio.

Donne come Carlotta Vagnoli, ci aiutano a diffondere in modo diretto e pratico discorsi essenziali ma che spesso si nascondono ancora dietro stupidi tabù.  La stessa Chiara Ferragni parlando di rispetto e bisogno di cooperazione tra noi donne ai suoi 22 milioni di followers, facilita una rivoluzione che già era in atto.

Perché siamo STANCHE. Stanche di subire. Stanche di dover dimostrare il doppio. Stanche di guadagnare di meno. Stanche di essere considerate involucri. Stanche di dover essere belle e perfette sempre rispettando immaginari non inventati da noi. Stanche di essere licenziate senza giusta causa. Stanche di essere derise e sminuite.

Abbattiamo l’ignoranza e cresciamo futuri uomini e donne in grado di capire la differenza tra giusto e sbagliato.

Oggi, come domani e nei giorni che verranno ricordiamoci sempre che #nonènormalechesianormale.

Con la rabbia e con il cuore.

Francesca, una donna.

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